Profughi, diritto e prassi

05/12/2023

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Non esiste una legge internazionale che riconosca il diritto dei profughi di guerra a ritornare alle loro case d’anteguerra, anche perché non esiste un’autorità superiore che potrebbe far rispettare tale diritto, imponendosi con la forza al governo di uno stato indipendente. Inoltre nessuna guerra sarebbe mai finita se i vinti non perdessero nulla, non accettassero il dominio dei vincitori, tornassero tutti tranquillamente alle proprie case e riprendessero la propria vita come prima, pronti a riprendere i combattimenti come prima.

In teoria, se con la guerra non c’è nulla da guadagnare nessuno dovrebbe iniziare una guerra. In realtà sappiamo che molti esseri umani non rinunciano ad uccidere, pur sapendo che verranno condannati all’ergastolo per omicidio, che i terroristi non rinunciano a far stragi per motivi ideologici, benché sappiano che quasi certamente verranno uccisi e il loro gesto assassino non cambierà la realtà. La competizione è una componente costante della vita umana, persino all’interno del nucleo famigliare con cui ci identifichiamo, così come la collaborazione. Se viene soffocata o negata o distorta da ideologie assassine, sfocia in violenza. ‘Guerra è sempre’, rispose memorabilmente Mordo Nahum a Primo Levi che non badava sufficientemente a proteggersi dai furti nella lunga odissea del ritorno, a guerra ormai finita (Primo Levi, La tregua).

I Palestinesi sostengono che l’ONU avrebbe riconosciuto il loro diritto al ritorno, ma non è vero. Una risoluzione in tal senso è stata effettivamente votata dall’Assemblea Generale dell’ONU, ma si tratta di una ‘raccomandazione’ che può avere valore morale, ma non ha valore di legge internazionale, se non è approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU – che non l’ha approvata.

Ma qual è la prassi abituale nel trattamento dei profughi di guerra? Vediamo qualche esempio.

Dopo la Seconda guerra mondiale i profughi tedeschi dei paesi dell’Europa dell’Est non sono mai tornati alle loro case, né sono mai tornati i profughi italiani dell’Istria. Sono tornati a casa i profughi dei paesi vincitori, dopo la vittoria, non quelli dei paesi sconfitti.

E gli Ebrei? I sopravvissuti e profughi ebrei di tutta Europa e quelli cacciati dai paesi arabi dopo la guerra del 1948-49 trovarono rifugio nelle Americhe, in Australia, nel nuovo stato di Israele. Nessuno di loro tornò alle proprie case, eccetto pochi sopravvissuti ebrei italiani, francesi e olandesi, quando i loro stati divennero democratici. È esemplare il caso degli ebrei polacchi. A Kielce, in Polonia, c’erano 250 000 ebrei all’inizio della guerra, e furono tutti deportati nei campi di sterminio. Alla fine della guerra tornarono 250 sopravvissuti, che furono sistemati alla bell’e meglio tutti insieme in un edificio solo. Quando cercarono di riavere le loro case, dove ormai abitavano famiglie polacche, né il vescovo né le autorità civili li aiutarono. Il 4 luglio 1946 scoppiò un pogrom: la folla uccise 42 sopravvissuti, la polizia ne uccise altri 5, gli altri fuggirono e lasciarono la Polonia per sempre. Due anni più tardi nessuno dei colpevoli dell’eccidio era più in prigione (vedasi https://it.gariwo.net/editoriali/kielce-storia-di-un-pogrom-17987.html)

Se risaliamo alla Prima guerra mondiale, quella che vide il crollo dell’Impero ottomano e dell’Impero asburgico, ed andiamo a cercare i documenti che illustrano che cosa successe ai profughi e ai sopravvissuti alla fine della guerra e delle stragi interne (genocidio armeno, ad esempio), veniamo a sapere che ci furono scambi di popolazione, in parte volontari, in parte obbligati, che riguardarono oltre 18 milioni di persone. Lo scambio obbligatorio fu ratificato dalla Convenzione greco-turca del 30 gennaio 1923, firmata a Losanna e ratificata dalla Società delle Nazioni, diventando parte del diritto internazionale.

La nazionalità venne allora definita in base alla specifica religione di ogni gruppo famigliare. Furono riconosciute come greche le famiglie di religione greco ortodossa, come turche le famiglie di religione islamica, indifferentemente dalla lingua e dal periodo di residenza sul territorio. I cristiani di rito greco ortodosso e di rito armeno erano già in Tracia e in Anatolia secoli prima della conquista islamica, all’epoca dell’impero romano d’Oriente. Erano dunque vissuti su quel territorio per 2000 anni, ma vennero considerati minoranze nazionali estranee alla Turchia e furono trasferiti negli stati dei loro gruppi nazionali, se esistevano. Per saperne di più si può leggere online il numero della rivista Oriente Moderno di settembre 1930, dedicato agli scambi obbligatori di popolazioni fra Grecia e Turchia. È molto interessante. Lo scambio fu considerato necessario ‘per evitare che le minoranze costituissero focolari di agitazioni e di disordini’, sostenne Ismet Pascià, e gli fu data ragione. Simili movimenti di musulmani e ‘greci’ (cioè cristiani ortodossi di rito greco) erano stati oggetto di altri accordi diplomatici, nei trattati greco-turchi del 2 luglio 1881, del 4 dicembre 1897 e del 14 novembre 1913.

I rifugiati siriani fuggiti dalla guerra civile sono tutt’ora in Turchia e cercano di trovar rifugio altrove, anche se nelle loro città d’origine l’insurrezione è stata sconfitta e può iniziare la ricostruzione. A nessuno viene in mente che debbano necessariamente tornare in Siria, oppure essere mantenuti per sempre, insieme a tutti i loro discendenti, da un ente creato ad hoc dall’ONU, come fa l’UNRWA con i Palestinesi.

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