I motivi geopolitici dell’infinita guerra afgana

01/07/2016

Alla caduta dell’Unione Sovietica nel 1989 si aprì la possibilità di accesso alle risorse di gas e petrolio dell’Asia Centrale (Kazakhistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tajikistan, Kirghizistan) che sino ad allora erano state monopolio russo. I paesi occidentali con gli USA in testa pensarono di investire nello sfruttamento dei giacimenti di gas e di petrolio dei paesi dell’Asia Centrale e costruire gasdotti e oleodotti in due nuove direzioni: a sud verso l’Oceano Indiano attraverso l’Afghanistan e il Pakistan, a ovest verso il Mediterraneo attraverso il Mar Caspio e la Turchia. Questo avrebbe creato solide reti di interessi economici comuni fra l’Occidente, l’Asia Centrale, il Pakistan e l’India: quello che si chiama ‘egemonia’ economica, che è una forma di soft power, cioè di potere non militare, ma tecnologico, organizzativo, culturale. L’Afghanistan sarebbe diventato il corridoio energetico principale di questa rete, che sarebbe stata in concorrenza con le reti di distribuzione russe, che passano attraverso i paesi del Caucaso e l’Ucraina. L’immissione delle enormi riserve di gas e petrolio dell’Asia Centrale sul mercato globale avrebbe anche creato una forte concorrenza con l’energia venduta dai Paesi del Golfo, innanzi tutto Arabia Saudita e Iran.

Gli Stati Uniti iniziarono trattative con i Talebani, le tribù che occupano la regione di frontiera fra Afghanistan e Pakistan e vivono tradizionalmente di contrabbandi, prima fra tutti quello dell’eroina. Gasdotti e oleodotti avrebbero dovuto attraversare il loro territorio, portare sviluppo alla regione e maggiori interferenze da parte delle istituzioni statali: bisognava convincerli a non opporsi, offrendo loro una partecipazione agli utili che li ricompensasse dell’inevitabile rinuncia a larga parte dei loro contrabbandi. La compagnia petrolifera che più si attivò per la realizzazione del progetto di corridoio energetico, fino al punto di formare centinaia di tecnici talebani in una scuola speciale allestita in Texas, fu la californiana Unocal, che nel 2005, venuta meno la speranza di realizzare il progetto, finì col fondersi con la Caltex.

L’Afghanistan sarebbe diventato il corridoio energetico principale di questa rete, che sarebbe stata in concorrenza con le reti di distribuzione russe, che passano attraverso i paesi del Caucaso e l’Ucraina. Avrebbe anche creato una forte concorrenza con l’energia venduta dai Paesi del Golfo, innanzi tutto Arabia Saudita e Iran.

Russia, Iran e Arabia Saudita si mossero a contrastare le mosse degli Americani creandosi alleati fra le tribù e fra gli islamisti in Afghanistan e in Pakistan. Ne nacque una guerra civile, in cui i Russi e gli Iraniani appoggiavano le tribù tagike e uzbeke del nord dell’Afghanistan, che avevano formato l’Alleanza del Nord, guidata dall’eroico Ahmad Shah Massoud (foto a fianco), sostenuta anche dalla consistente minoranza sciita dell’Afghanistan, che è di lingua e cultura farsi, come gli Iraniani. I Sauditi sostenevano invece le tribù sunnite e cercavano di boicottare i progetti americani infiammando i cuori e le menti dei Talebani tramite la predicazione e l’opera politica di al Qaeda. Non a caso Obama Bin Laden era saudita.

Quando nel 1996 i Talebani assunsero il controllo dell’Afghanistan, il loro governo fu riconosciuto soltanto dal Pakistan, dall’Arabia Saudita e dagli Emirati del Golfo. Gli Stati Uniti dissero ai Talebani che li avrebbero riconosciuti a condizione che accettassero la costruzione dell’oleodotto. A impedire che i Talebani raggiungessero l’accordo con gli USA provvide Obama Bin Laden, che dall’Afghanistan – dove viveva − organizzò l’attacco terroristico del 1998 contro le ambasciate americane in Tanzania e Kenya, in cui morirono più di 200 persone e altre 4000 furono ferite. Il governo americano del presidente Clinton chiese ai Talebani di consegnare Bin Laden, ma i Talebani, che da Bin Laden ricevevano grande sostegno economico e militare, rifiutarono.

Nel 2001 divenne presidente George Bush, che riaprì le trattative con i Talebani, ma subito provvide di nuovo Bin Laden a fermarle, con l’attacco alle Torri Gemelle, pianificato dalla sua base in Afghanistan. Di fronte al rinnovato rifiuto di consegnar loro Bin Laden, gli USA mossero guerra ai Talebani, li rovesciarono e formarono un governo di coalizione sotto Karzai, che aveva l’appoggio sia delle tribù dell’Alleanza del Nord, sia della minoranza sciita sostenuta dall’Iran, sia delle tribù sunnite di etnia pashtun della pianura, che ricevevano aiuti dall’Iraq sotto Saddam, ma non dei Talebani e delle tribù delle montagne a cavallo fra Afghanistan e Pakistan, dove Bin Laden continuò a trovare rifugio.

Da anni gli Stati Uniti e la Cina, anch’essa interessata allo sviluppo pacifico del commercio attraverso l’Asia centrale e il Pakistan, premono in ogni possibile modo sul Pakistan perché combatta i Talebani e li riduca alla ragione. Il Pakistan ci sta provando, ma questo ha offerto a Iran e Russia la possibilità di avvicinare i Talebani e offrire il loro sostegno – pur di fermare i progetti di sviluppo del corridoio energetico − con il rischio di un pieno rovesciamento di alleanze da parte dei Talebani e del divampare di una nuova guerra civile. È anche alla luce di questo rischio che occorre interpretare la decisione del presidente americano Obama di aprire trattative con l’Iran per arrivare eventualmente alla normalizzazione dei rapporti.

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