Il razzismo nella cultura europea moderna
Parte II - Scienza e razza

10/03/2015

Scienza e razza

Gli Illuministi del tardo ‘700, che avevano promosso le scienze empiriche, avevano anche proclamato appassionatamente l’appartenenza a un’unica razza di tutti gli esseri umani, il loro diritto alla libertà. Ma non tutti furono concordi nel considerarli uguali fra di loro.  Scrisse David Hume: ‘Sospetto i Negri ed in generale le altre specie umane di essere naturalmente inferiori alla razza bianca. Non vi sono mai state nazioni civilizzate di altro colore che il bianco’. Ovviamente basta conoscere la storia dell’Asia per sapere che non è affatto vero, ma allora in Europa la storia degli altri continenti era quasi del tutto sconosciuta.

A inizio del 1800 alcuni scienziati tentarono di classificare le popolazioni umane in grandi gruppi con simili caratteristiche fisiche, rilevabili per osservazione e misurazione, cioè con metodo scientifico.  Johann Friedrich Blumenbach, docente di medicina all’università di Gottinga, divenne celebre per i suoi studi ‘craniometrici’. Sulla base della conformazione del cranio e del colore della pelle classificò l’umanità in cinque ‘razze’ (bianca, rossa, olivastra, gialla e nera), e tale classificazione venne usata fino alla metà del 1900. Blumenbach tuttavia escluse che esistesse una qualche gerarchia intellettuale fra le varie ‘razze’.

Il filone di studi che indagava gli eventuali rapporti fra la conformazione di crani e volti e le caratteristiche morali e intellettuali delle persone venne portato avanti da studiosi che spesso non avevano intenzioni razziste, come il nostro Cesare Lombroso, il quale ipotizzò che la criminalità avesse base biologica e fosse ereditaria, ma su base individuale, e pubblicò foto e misure craniche di ‘rivoluzionari, criminali politici, mattoidi e pazzi dal punto di visa morale’. Ancora oggi noi diciamo di qualcuno che è ‘delinquente nato’, espressione nata allora. Oggi proseguono gli studi che indagano i possibili rapporti fra la psiche e la conformazione e il funzionamento delle varie aree del cervello, senza attribuzioni razziali.

Fu Joseph Arthur de Gobineau, ambasciatore e filosofo francese, ad attribuire alle razze umane caratteristiche morali e psicologiche innate nel suo ‘Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane’ del 1853. Combinando la classificazione di Blumenbach con il pensiero di Hegel, Gobineau fu l’iniziatore del mito della razza ‘ariana’, originaria dell’India, che, sovrapponendosi alle precedenti popolazioni europee, avrebbe originato le popolazioni di ceppo teutonico, secondo lui destinate a dominare per le loro presunte virtù: amore per la libertà, per l’onore e per la spiritualità. Ma per mantenere tali caratteristiche i teutonici non avrebbero dovuto incrociarsi con le altre razze, che ne avrebbero corrotto la nobiltà. Gobineau morì d’infarto alla stazione di Torino nel 1882.

In quei decenni l’interesse per capire cause e origini delle diversità fra i gruppi umani era fortissimo. Il grande filosofo e sociologo inglese Herbert Spencer descriveva il mondo come una realtà in cui materia, vita e storia si trasformano ed evolvono costantemente, perciò è essenziale capire quali leggi regolano le trasformazioni.  Fu il primo a utilizzare in sociologia il concetto di ‘sopravvivenza del più adatto, che Darwin, suo contemporaneo, utilizzò per spiegare la selezione naturale.   Spencer verso la fine della vita arrivò a sostenere che lo stato non deve intervenire nella vita delle persone con strumenti di solidarietà e di assicurazione sociale, per non interferire con le forme di ‘selezione naturale’ di cui molto si dibatteva, dopo la pubblicazione del libro di Darwin su L’origine delle specie (1859). Fu Spencer il vero fondatore di quello che fu poi chiamato ‘darwinismo sociale’, che però Darwin non approvò mai, perché travisava in pieno il suo concetto.

Darwin aveva messo in luce l’estrema importanza delle incalcolabili mutazioni individuali per la vita: è grazie a queste mutazioni che la vita può adattarsi a situazioni diverse e sopravvivere in diversi ambienti. Le mutazioni non sono positive o negative di per sé, ma soltanto in relazione a uno specifico ambiente di vita. La pelle scura è positiva per vivere sotto il sole dei tropici, è negativa per vivere nel buio polare.  Ma questo concetto basilare non fu compreso da tutti, né suscitò l’interesse dei pensatori e dei politici contemporanei, che invece utilizzarono il concetto di ‘selezione naturale’ per giustificare le differenze sociali come frutto delle eterne leggi di natura, non frutto di umana ingiustizia.

Il primo a travisare le idee di Darwin fu il cugino Francis Galton, esploratore, antropologo, scienziato di valore, che fondò il primo istituto di eugenetica all’inizio del 1900. L’eugenetica si pone come la scienza per il miglioramento progressivo della razza umana, tramite la regolazione della riproduzione. Uno dei suoi obiettivi è far nascere più figli dalle persone considerate ‘più adatte’ alla vita, non dalle persone malate e deboli.  L’eugenetica, chiamata anche ’igiene razziale’, ebbe rapido e grande successo. Si formarono associazioni per promuoverla, con il motto ‘l’eugenetica è l’autodeterminazione dell’evoluzione umana’. In pochi anni nella sola Germania si aprirono 1300 cattedre universitarie di “igiene razziale”. La Francia non fu da meno.   Molti stati democratici occidentali approvarono provvedimenti di sterilizzazione forzata dei malati, per “arginare il declino moderno”. Questa targa ad esempio ricorda la legge del 1907 per la sterilizzazione forzata in Indiana, Stati Uniti, abolita nel 1909.  La chiesa cattolica ebbe invece un atteggiamento molto prudente, che non accettava l’intervento diretto sulla riproduzione, ma favoriva piuttosto lo sviluppo della medicina sociale.

La spinta allo sviluppo dell’eugenetica non venne soltanto dal darwinismo sociale, ma soprattutto dal timore della sovra popolazione mondiale, sempre presente nell’opinione pubblica dopo la pubblicazione nel 1798 del saggio di Thomas Malthus ‘Saggio sul principio della popolazione’ , che sosteneva che la crescita in progressione geometrica della popolazione avrebbe portato alla povertà generalizzata, per l’insufficienza dei mezzi di sostentamento del genere umano. Il timore della sovra popolazione globale non ha cessato di esistere, anche se sappiamo bene che le due caratteristiche principali degli esseri umani, cioè la capacità di cooperazione e l’inventiva, oggi permettono ai 7 miliardi di esseri umani del mondo di vivere meglio e più a lungo del miliardo scarso di persone del tempo di Malthus.

Francis Galton nel tardo ‘800 combinò il concetto della selezione naturale con le tesi maltusiane. Notò che le classi più povere tendono ad avere più figli delle classi abbienti e sono più inclini a delinquere, e poiché dava per accertato che la povertà e la criminalità fossero ereditate su base biologica, ne concluse che l’aumento della popolazione avrebbe portato al declino intellettuale e morale dell’umanità.Se i ‘meno adatti’ si riproducono di più della minoranza dei più capaci, il prevalere assoluto di poveri, pazzi e criminali gli sembrava inevitabile. Tale credenza nei primi decenni del 1900 si diffuse e si radicò anche in paesi democratici. Questo cartello negli Stati Uniti sosteneva ad esempio che ‘alcune persone nascono per essere di peso agli altri’ e che soltanto circa il 4% della popolazione nasce con capacità creative e di leadership. Le classi dirigenti si sentivano angosciate dall’idea di esser sopraffatte da orde di poveri, deboli, malati e criminali, che le risorse del mondo non sarebbero bastate a nutrire.  Nella prefazione alla traduzione francese dell’opera di Darwin la scienziata Clemence Royer commentava: ‘che cosa dovremmo aspettarci… da quest’insensata protezione concessa esclusivamente ai deboli, ai malati, agli incurabili, ai peggiori e a tutte le disgrazie della natura?’  Nel 1889 lo scienziato Gustave Le Bon scriveva: ‘Occorre rinunciare al ruolo di apostoli e non dimenticare che, nella lotta terribile per l’esistenza che il mondo moderno è in procinto di affrontare, il diritto di vivere apparterrà solo ai popoli forti’. 

Georges Vacher de Lapouge, magistrato e antropologo, che fu fra i fondatori del socialismo in Francia, considerava la povertà conseguenza di una “degenerazione biologica causata dalla soppressione della selezione naturale nelle società umane’, e così classificava le razze umane:

l’Homo europeus, alto e biondo, protestante, dominatore e creatore, come i Francesi, i Tedeschi e gli Inglesi;

l’Homo alpinus, fra cui i Turchi, definiti ‘schiavi perfetti che aspirano al progresso’,

l’Homo contractus, o mediterraneo, fra cui gli Italiani e gli Spagnoli, decisamente appartenenti alle razze inferiori. Fu uno degli autori prediletti di Hitler in gioventù.

Gumplowicz, sociologo polacco, che godette di grande autorità come rettore di università in Austria, scriveva nel 1904: “La natura, dopo tutto, può ben permettersi di giocare in tal maniera con la vita umana. Non è forse vero che milioni di nuovi nati vengono alla luce ogni giorno, e che la natura agisce in modo tale che una simile produttività non si fermi? Ebbene, date queste condizioni naturali, è forse sensato o giustificato sovrastimare l’esistenza dell’individuo come fanno le nazioni civilizzate? Quanta infelicità e quanto dolore si potrebbero risparmiare agli uomini se le istituzioni sociali e politiche nate da questa stima esagerata per la vita….potessero essere soppresse!”

Il darwinismo sociale divenne così la giustificazione ‘scientifica’ non soltanto dell’oppressione e della disuguaglianza, ma anche dello sterminio dei più deboli. Scrive Bensoussan: “Nella seconda metà del XX secolo divenne accettabile perché ‘naturale’ l’idea che le razze inferiori fossero destinate a scomparire, e che le razze superiori dovessero aiutare la natura nel suo lavoro”.   Il XX secolo divenne così il secolo delle idee assassine in cui i popoli apparentemente più civili del pianeta compirono le più atroci stragi di massa.

Già nel 1904 i Tedeschi sterminarono gli Herero, popolazione indigena dell’attuale Namibia, allora colonia tedesca, che rifiutava la schiavitù. Su 80.000 Herero ne uccisero 70.000 facendoli morire di fame, di fatica e di malattia nel deserto o in campi di concentramento e di lavoro forzato. Nei campi di concentramento degli Herero l’eugenista Eugen Fischer condusse esperimenti medici su cavie umane: bambini e adolescenti meticci nati dagli stupri dei soldati tedeschi. Da questi esperimenti trasse il libro “I principi dell’ereditarietà umana e l’igiene della razza’ su cui si formò Joseph Mengele, il medico nazista che condusse esperimenti “medici” su cavie umane, anch’essi bambini, nei campi di sterminio nazisti.

Pochi si rendevano conto dell’orrore del razzismo sostenuto da antropologi, medici, politici e sociologi in nome della scienza. Ma qualcuno c’era. Novicow in “La critique du darwinisme social” scriveva: ‘il darwinismo sociale può essere definito: la dottrina che considera l’omicidio collettivo come una spinta al progresso del genere umano’.

Razzismo e nazionalismo estremo proseguirono la loro opera assassina: all’inizio della Prima Guerra Mondiale i Turchi deportarono e sterminarono i propri concittadini armeni.

Nella Grande Guerra (1914-1918) gli Europei impegnarono anche armi chimiche contro le truppe nemiche. I nemici erano descritti da giornalisti e politici come esseri puzzolenti e contaminanti. Un gruppo di scienziati francesi spiegò che i Tedeschi urinano anche attraverso i piedi e che l’urina tedesca è più nociva e più puzzolente perché ha una percentuale di azoto superiore a quella degli altri esseri umani, che i Tedeschi producono più escrementi, sono più ingordi, hanno pulsioni irresistibili, per questo puzzano come bestie.

Nel 1919 alla conferenza di pace di Versailles gli Europei rifiutarono la proposta giapponese di includere nella carta della Società delle Nazioni un richiamo all’uguaglianza delle razze umane.  Nel 1924 Hitler, in prigione per sovversione armata, scriveva in “Mein Kampf”: “occorre collocare la razza al centro della vita”. Salito al potere nel 1933, avrebbe promulgato le leggi razziali di Norimberga, che facevano appello alla ‘scienza’ allora prevalente in quasi tutta Europa per escludere e perseguitare gli Ebrei.  Nel 1939 la Germania nazista avrebbe scatenato la Seconda Guerra Mondiale, durante la quale perpetrò anche il genocidio degli Ebrei d’Europa, chiamato Shoah. Durante gli anni di guerra furono uccise circa 60 milioni di persone, in maggioranza civili inermi, di cui circa la metà in Unione Sovietica e in Cina.

Tali carneficine non avvenivano contro la volontà delle popolazioni. Le popolazioni credevano fosse necessario uccidere, perché avevano paura dei diversi, e uccidendoli credevano di debellare la propria paura. Nella primavera del 1941 Hermann Voss, anatomista dell'Università di Poznan, annotò nel suo diario: “Qui nel sotterraneo è presente anche un dispositivo per l'incenerimento dei cadaveri. Se ne serve esclusivamente la Gestapo. Ci vengono portati di notte i polacchi fucilati, per essere bruciati. Ah, se si potesse sterminare così tutta la società polacca! Il popolo polacco deve essere annientato, altrimenti l'Est non sarà mai in pace. Ritengo che si debba affrontare la questione polacca senza particolari emozioni, ma in maniera puramente biologica. Li dobbiamo sterminare, prima che loro stermino noi. (Georges Bensoussan, Genocidio. Una passione europea).  Queste parole rivelano il convincimento profondo, radicato dall’educazione in generazioni di Europei, che uccidere chi è fuori del nostro gruppo è giusto, perché è legge di natura. Hitler diceva dell’educazione dei giovani: La mia scienza pedagogica è dura. Il debole deve essere spazzato via. Nei centri del mio nuovo Ordine verrà allevata una gioventù che spaventerà il mondo. Io voglio una gioventù che compia grandi gesta, dominatrice, ardita, terribile…. Essa deve sopportare il dolore, non deve avere nulla di debole o di delicato […].

Il disprezzo per la vita umana e la giustificazione dell’omicidio collettivo in nome del progresso dell’umanità si estesero anche ad altre ideologie politiche, perciò rimasero nella cultura globale anche dopo la sconfitta dal nazismo e del colonialismo europeo. Stalin produsse sterminati cumuli di morti per il ‘bene del popolo’, incusi i 7 milioni di morti in Ucraina nell’inverno 1932-33. I Khmer Rossi cambogiani nel 1975 sterminarono quasi un terzo della propria popolazione.  Nel 1994 la popolazione del Ruanda fece strage dei propri concittadini Tutsi. Nel 1995 i Serbi fecero strage dei propri concittadini Bosniaci.  Ognuna di questa stragi ebbe origine in una situazione diversa, ma la giustificazione comune fu sempre che il ‘nemico’ era portatore di caratteristiche negative, subumane o animalesche, sia moralmente sia biologicamente. I nazisti chiamavano ‘untermensch’, subumano, il ‘nemico’.

Giudicare subumani gli esseri umani diversi rende disumani noi, perché ci rende capaci di ammazzare senza remore.

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