La Russia e l’islam, ieri e oggi

16/11/2015

La Russia ha la maggior percentuale di cittadini russi in occidente: dal 12 al 15%. Per questo ha chiesto di entrare nell’Organizzazione della Conferenza Panislamica de la Mecca come membro osservatore. Mosca ha più residenti islamici di qualunque altra città europea. 

Gli islamici russi non sono di etnia russa, salvo rare eccezioni, ma sono i discendenti dei Turchi, Tatari e Mongoli stanziatisi in Asia centrale e attorno al Mar Nero attraverso i secoli, in territori contigui a quelli dei Russi. Questi territori furono parte dell’impero zarista, poi dell’Unione Sovietica. Alla caduta dell’Unione Sovietica le repubbliche islamiche asiatiche si staccarono dalla Federazione Russa (Turkmenistan, Uzbekistan, Tajikistan, Kazakistan, Azerbaijan), quelle del Caucaso vi rimasero. Negli anni ’90 attivisti islamici giunti da altri paesi predicarono, insegnarono e crearono organizzazioni che avevano come scopo il risveglio dell’identità islamica, talora fino alla ribellione e al jihad, nelle popolazioni islamiche dell’ex Unione Sovietica, abituate al laicismo delle istituzioni e della società. La lunga e sanguinosa ribellione cecena, repressa con grande violenza dai Russi, è stata la conseguenza più drammatica di questo ‘risveglio’.

Ma dopo la soppressione della ribellione cecena i Russi, sotto la guida di Putin, hanno cambiato approccio e sono tornati alla politica degli Zar, che utilizzarono sempre le religioni – tutte le religioni all’interno dell’impero − come strumento di legittimazione del loro potere

I Russi, sotto la guida di Putin, sono tornati alla politica degli Zar, che utilizzarono sempre le religioni all’interno dell’impero come strumento di legittimazione del loro potere.

Un po’ di storia

Le regioni islamiche furono incorporate nell’impero zarista tramite conquista. Nel 1552 Ivan Il Terribile conquistò in nome della cristianità il khanato tataro di Kazan (vedasi mappa a lato). Il Metropolita della chiesa ortodossa, Macario, si aspettava la conversione obbligatoria di tutta la popolazione sottomessa, la reclamava a gran voce, ma Ivan non lo accontentò: chiese lealtà politica alla popolazione conquistata, lasciando libertà religiosa. Da allora tutti gli Zar, che si fregiavano del titolo di difensori della fede, si atteggiarono a difensori del diritto delle popolazioni a mantenere e praticare la propria fede religiosa, sostenendo che il Dio unico può venire onorato anche in modi diversi. Nel ruolo di protettrice della libertà religiosa brillò Caterina la Grande, che incorporò le istituzioni religiose islamiche all’interno delle istituzioni imperiali, trasformandole in strumento del suo potere. L’impero zarista praticò il multiculturalismo e la tolleranza religiosa in cambio di lealtà dinastica e politica, riducendo d’importanza il ruolo sia dell’etnia sia della religione. I vertici della chiesa ortodossa non cessarono mai di opporsi a questa politica, sostenendo che lo stato svendeva ‘l’anima russa’ al diavolo per motivi politici ed economici.

Nel tardo 1800 anche in Russia si sviluppò una prima società industriale, fiorirono idee politiche liberali e democratiche. Per millenni gli stati si erano retti su principi dinastici territoriali e su principi religiosi. Ma il buon funzionamento delle società sorte dalla rivoluzione industriale, formate da vasti gruppi di burocrati, commercianti, tecnici e professionisti, richiedeva un’alta coesione linguistica e culturale e una più ampia condivisione del potere e delle risorse (si veda il video qui a fianco “Il nazionalismo e la società industriale nell’Europa moderna”).

Si sviluppò così l’idea che gli stati dovessero essere nazionali, cioè basati sull’omogeneità linguistica e culturale (‘etnica’) e che il diritto a governare fosse legato al consenso delle popolazioni. Entrarono in crisi tutti gli imperi, che invece si basavano sul principio dinastico-territoriale e sulla difesa della religione.  Anche le gerarchie religiose dovettero rivedere la propria dottrina sociale e politica (si veda il video). Verso la metà del 1800 si sviluppò nell’Asia centrale zarista il primo movimento islamico di riforma, chiamato Jadidismo, che voleva ammodernare la società islamica tramite l’educazione, promuovere lo studio delle scienze e della matematica. Il movimento fu ostacolato sia dai tradizionalisti islamici, sia dalla politica dello Zar, che temeva  la diffusione di idee liberali e la possibilità che il rinnovamento islamico divenisse promotore dell’ideologia pan-islamista, favorevole all’Impero Ottomano.

Nel 1905, anno della tentata rivoluzione liberale in Russia, si tenne il Primo Congresso dell’Unione degli Islamici Russi, che chiese più autonomia religiosa e culturale (cioè etnica) e pari status rispetto ai sudditi di etnia russa e di religione ortodossa. Gli islamici dell’impero zarista volevano anche una monarchia costituzionale, libertà di stampa, una più equa distribuzione delle terre e il diritto di eleggere direttamente i propri ulama e il proprio gran mufti. Ma nell’arco di pochi anni il movimento si scisse in tanti rivoli politicamente opposti, fortemente influenzati dalla diversa appartenenza etnica.

Nel 1916 scoppiò una violenta rivolta anti russa nell’Asia centrale islamica e turcomanna, la rivolta dei Basmachi. I Basmachi rifiutavano la costrizione militare obbligatoria nell’esercito zarista, ciò nonostante durante la Prima guerra mondiale più di un milione di islamici si arruolarono e combatterono lealmente con i Russi contro gli Ottomani. La rivolta dei Basmachi fu domata soltanto nel 1931 dall’esercito sovietico aiutato dagli Afghani.

I bolscevichi vittoriosi rimasero a lungo in dubbio su come trattare gli islamici che, caduto l’impero, facevano ormai parte dell’Unione Sovietica. Dapprima tentarono di mobilitarli in funzione anti-imperialista e anti-occidentale, incitandoli al jihad contro gli Inglesi, ma nell’Asia centrale molti continuarono a combattere contro l’imperialismo russo, che ben conoscevano, anziché contro quello occidentale. Alla fine l’Unione Sovietica scelse di dare base etnica – nazionale − alle repubbliche di popolazione islamica, considerando come etnie diverse popolazioni che parlavano dialetti un po’ diversi nelle regioni dell’Asia Centrale e del Caucaso, anche se avevano una storia e una cultura largamente comune. Stalin preferì spezzettarle, metterle in competizione fra di loro per lo sfruttamento delle risorse, allontanare la possibilità di creazione di una sola forte repubblica islamica centrasiatica.  L’Unione Sovietica usò l’etnia, la nazionalità, per combattere la forza unificante della religione islamica.

La personalità che meglio incarna il percorso degli islamici russi sotto l’Unione Sovietica è quella di Mirza Sultan-Galiev, tataro della regione del Volga, membro del partito bolscevico fin dal 1917, che ricoprì ruoli importanti, fino a divenire presidente del Commissariato per le Nazionalità sotto Stalin. Cercò di convincere Stalin a creare un partito comunista pan-islamico, che fondesse l’islam con la fede laica nel comunismo. Stalin non approvò. Mirza Sultan-Galiev si rese conto che il comunismo russo sarebbe stato più oppressivo dell’impero zarista, si convinse che gli interessi dei Tatari non avrebbero potuto coincidere con quelli dei Russi per motivi geopolitici. Stalin lo face uccidere nel 1940, insieme a migliaia di altri nazionalisti islamici di etnia turca.

La campagna per l’ateismo, contro la fede e la pratica di qualunque religione, travolse e livellò tutti i popoli dell’Unione Sovietica, ma fu particolarmente dura contro l’islam, che veniva considerato un pericolo politico grave.  

Quando nel 1979 l’Unione Sovietica invase l’Afghanistan, gli Afghani non combatterono in nome della nazione, ma in nome dell’islam. Ma anche la maggior parte dei soldati sovietici inviati a combattere in Afghanistan erano islamici. 

Dopo la caduta dell’Unione Sovietica nel 1991, in tutte le repubbliche islamiche e si ebbero attentati e ribellioni a opera di gruppi jihadisti. Le misure di sicurezza messe in atto in tutte le repubbliche (dittatoriali) islamiche dell’Asia centrale e del Caucaso furono (e sono) imponenti.

Negli ultimi anni però si sta sviluppando una nuova dottrina ‘eurasiatica’ che cerca di legare gli interessi delle popolazioni e delle culture che si estendono all’interno dell’Asia centrale - per lo più islamiche - con quelle della Cina e della Russia, che si trovano alle estremità. Il collante principale della dottrina euroasiatica è quello che viene chiamato anti-imperialismo, ed è in effetti il desiderio di creare uno spazio politico ed economico alternativo a quello forgiato dalle istituzioni dell’Occidente. È l’opposizione all’egemonia dell’Occidente che oggi tiene insieme gli islamici asiatici, gli ortodossi russi, i Cinesi di tutte le religioni in nuove associazioni economiche e politiche (come la Shanghai Cooperation Organization), con l’ambizione di includere anche i paesi del sud est asiatico. Le differenze fra questi paesi sono troppo numerose perché la dottrina euroasiatica possa avere grande sviluppo, ma la lunga tradizione di interferenza reciproca e di condivisione di interessi geopolitici fra i Russi e i loro vicini islamici non verrà meno. Le recenti attività russe in Siria sono soltanto un primo esempio del ruolo che la Russia intende mantenere nel mondo islamico.

 

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