Il duello fra Stati Uniti e Iran

31/01/2024

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Tre militari statunitensi sono stati uccisi il 28 gennaio da droni lanciati contro una base militare situata in Giordania, vicino al confine siriano. Il presidente Biden ha incolpato milizie appoggiate dall’Iran, da mesi impegnate nell’operazione “occhio per occhio” contro le forze statunitensi, che fino a pochi giorni fa non avevano intrapreso azioni drammatiche.

Per capire come andrà a finire, dobbiamo capire gli obbiettivi e le motivazioni di fondo degli Stati Uniti e dell’Iran.

Naturalmente gli Stati Uniti sono interessati al Medio Oriente dalla fine della Seconda guerra mondiale, hanno forze sul terreno più o meno grandi e più o meno attive sin dall’operazione Desert Storm (gennaio 1991), il cui obiettivo era impedire all’Iraq di attaccare militarmente i vicini e prendere il controllo delle riserve petrolifere della regione. L’Iraq non è più una minaccia in sé, ma si trova nella sfera di influenza dell’Iran. Più recentemente Washington ha concentrato l’attenzione sui movimenti subnazionali (in primis quello curdo) che potrebbero destabilizzare la regione. L’obbiettivo di fondo degli Stati Uniti in Medio Oriente è lo stesso dagli anni ’50: mantenere il flusso di petrolio e ridurre al minimo la violenza bloccando paesi e movimenti ritenuti ostili agli interessi statunitensi. Pertanto le forze e gli alleati degli USA sono sparsi in tutta la regione.

Gran parte dell’attività dell’Iran è mirata a minare e scalzare le posizioni degli americani nella regione, fino a costringerli al ritiro. Da molte settimane l’Iran lancia missili contro obiettivi della Siria nordoccidentale, del Kurdistan iracheno e del Pakistan sudoccidentale. Teheran sostiene anche i ribelli Houthi dello Yemen, che usano armi e informazioni fornite dall’Iran per attaccare petroliere e navi container nel Mar Rosso e nelle acque contigue. Da qualche settimana gli Stati Uniti e alcuni alleati sono impegnati in una guerra navale contro gli Houthi.

Gli Stati Uniti oggi vogliono assicurarsi che gli alleasti regionali non vengano rovesciati o destabilizzati, il che richiede l’impiego di forze strategiche. L’obbiettivo dell’Iran è diventare la forza più potente nella regione, il che richiede il ritiro degli Stati Uniti, ma non soltanto: è necessario che tutto il mondo veda nell’Iran il paese che caccia gli Stati Uniti dalla regione, nonché il leader della lotta contro Israele attraverso le milizie, per lo più sciite, che l’Iran addestra arma e sovvenziona all’estero (Hezbollah e Hamas in primis, ma anche le forze che sostengono il regime di Assad in Siria e gruppi jihadisti o tribali minori spersi in tutti i paesi islamici), perché l’altro obbiettivo dell’Iran è dimostrare la debolezza degli attori sunniti e indebolirne radicalmente il prestigio all’interno del mondo islamico.

Se gli Stati Uniti venissero costretti a ritirarsi, l’Iran riuscirebbe a imporre il suo potere sul Canale di Suez e forse anche oltre. Se l’Iran dovesse crollare, gli Stati Uniti dominerebbero la regione. L’Iran ha l’esercito più debole, ma pensa di riuscire a indurre gli Stati Uniti ad andarsene, perché per loro la posta in gioco è minore. La potenza degli Stati Uniti sopravviverà se perderà questo confronto, così come è sopravvissuta al ritiro dal Vietnam o dall’Afghanistan. Se l’Iran perde, è a rischio il suo stesso futuro.

Gli Stati Uniti dovranno attaccare importanti obiettivi iraniani per dimostrare di essere decisi a combattere per vincere. L’Iran dovrà reagire in modo simile. Il conflitto, se proseguirà, sarà caratterizzato dalla potenza missilistica e aerea per ridurre al minimo le vittime. L’Iran utilizzerà le forze di terra e i droni, gli Stati Uniti cercheranno di distruggere le fabbriche di droni e le aree di stoccaggio. Teheran condurrà anche una campagna molto intensa per scoraggiare gli alleati degli Stati Uniti dall’ unirsi alla mischia.

Se gli Stati Uniti dovessero impegnarsi in una guerra ad alta intensità contro l’Iran, sarebbero meno in grado di fornire all’Ucraina il sostegno necessario. Dovremmo quindi vigilare su un possibile coinvolgimento russo, che darebbe a Mosca l’opportunità di diventare più efficace di quanto non sia stata in passato.

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