In difesa del nazionalismo

27/01/2017

Da un saggio di Jacob Shapiro

 

Di questi tempi si parla di nazionalismo come di una specie di epidemia generatasi spontaneamente, che ha preso a impossessarsi di vari segmenti della società, infettando le menti di coloro che sono più inclini a credere alla superiorità etnica o religiosa di certe popolazioni rispetto ad altre. Pare un meccanismo difficile da bloccare, che finisce col causare guerre e catastrofi globali. Il termine nazionalismo viene spesso impiegato insieme ad autoritarismo, sciovinismo e xenofobia, come se questi concetti fossero sinonimi intercambiabili. È innegabile che il nazionalismo stia riemergendo, ma il rafforzarsi dei sentimenti nazionali è il sintomo di una situazione di crescente instabilità, non ne è la causa.

Il nazionalismo nacque con le rivoluzioni americana e francese, ma giunse a maturità ideologica, diventando forza politica, nell’Europa del XIX secolo. Non a caso, ciò avvenne proprio in corrispondenza di grandi cambiamenti nei processi di produzione, a causa della Rivoluzione Industriale. Ciò che accadde in Gran Bretagna quando le industrie di produzione di massa soppiantarono le botteghe artigianali si ripeté rapidamente in tutto il Continente, cambiando profondamente la struttura della famiglia e cambiando la vita dei lavoratori spostatisi in massa nelle città. La Rivoluzione Industriale rappresentò un cambiamento epocale e di massa. Ebbe molte conseguenze, fra cui quella di minare le certezze identitarie dell’individuo e la stabilità della società. Mentre cambiava profondamente il ruolo dei lavoratori, non a caso emergeva una nuova concezione del valore intrinseco dell’individuo. Gli individui cominciarono a reclamare diritti umani inalienabili, non del tutto riconosciuti dai vari re, zar o despoti illuminati dell’epoca. Si rese necessaria una nuova forma di organizzazione politica basata sul contratto sociale tra governanti e governati, di cui il nazionalismo fu parte integrante. Il nazionalismo fornì ai nobili ideali dell’Illuminismo gli strumenti concreti di cui aveva bisogno per creare nuovi sistemi politici basati su quei principi. L’individuo aveva perso il senso di identità e di sicurezza, ma l’appartenenza alla nazione dava un nuovo senso alla vita degli individui-cittadini.

I sentimenti nazionalisti ripresero vigore tra le due guerre mondiali, ma la radice di quei conflitti così sanguinosi non fu il nazionalismo; il nazionalismo fu uno dei modi in cui la gente che attraversava un momento di estrema difficoltà razionalizzò quella esperienza. Gli anni precedenti l’ascesa di Hitler al potere furono dominati dalla depressione economica, in particolar modo in Germania, che fu messa in ginocchio non soltanto dalla crisi, ma anche dal Trattato di Versailles, il cui obiettivo non era certo promuovere e sostenere la pace tra potenze di pari rango, ma piuttosto mantenere la Germania debole. Lo squilibrio tra le potenze europee era evidente e la Germania era al contempo umiliata dalla sconfitta nella Prima Guerra Mondiale e spaventata per un futuro in cui sarebbe stata alla mercé della Francia o di qualche altro nemico storico.

Quando diciamo che oggi il nazionalismo sta crescendo, quello che in realtà intendiamo dire è che il mondo è sempre più instabile e di conseguenza cresce il nazionalismo. La crisi economica del 2008 continua ad avere effetti in tutto il mondo − minor prospettive di crescita per i paesi emergenti, incapacità dell’Unione Europea di forgiare una strategia comune per affrontare i problemi, riduzione del potere d’acquisto della classe media e medio-bassa negli Stati Uniti, ecc. Tutte queste paure possono essere strumentalizzate dai leader politici di questo o quel paese per rafforzare la propria legittimità e denunciare lo scarso controllo che la nazione può esercitare sul proprio destino.

Reclamare questo tipo di controllo non è di per sé sintomo di autoritarismo, sciovinismo o xenofobia, né conduce necessariamente al conflitto. In Cina o in Russia nazionalismo e autoritarismo vanno a braccetto, ma si tratta di paesi molto estesi, con una grande varietà etnica e un enorme divario tra ricchi e poveri, in cui lasciare le redini sciolte può provocare il disfacimento delle istituzioni. Russia e Cina sono state guidate da zar e imperatori e non hanno vissuto il processo di transizione verso la democrazia liberale, ma la ragione non è il nazionalismo. Il nazionalismo in questi paesi puntella la legittimità dell’autoritarismo così come nelle democrazie liberali mantiene la coesione tra i concittadini. Non c’è nulla nel nazionalismo che conduca di per sé alla guerra o al conflitto. Gli uomini hanno combattuto guerre per sovrani, re, clan e faraoni ben prima che il nazionalismo fosse anche solo lontanamente immaginato. Squilibrio tra le potenze, carenza di risorse, paura e mancanza di fiducia nelle potenze vicine sono fattori molto più rilevanti per lo scoppio della violenza. Quando si arriva alla violenza, il nazionalismo è un ottimo elemento da innestare ex post nel conflitto. Il nazionalismo può giocare un ruolo molto rilevante nell’esacerbare i conflitti, quando i conflitti sono già scoppiati. Né si vogliono sottovalutare le conseguenze che il nazionalismo può avere all’interno di un paese: il concetto di nazione può essere un principio che favorisce l’unione, ma il rovescio della medaglia è che si possono iniziare a fare leggi per escludere dalla nazione alcuni gruppi.

Il sentimento nazionalista portato all’estremo e sommato a una situazione di instabilità politica e sociale può portare all’ascesa di regimi come quello nazista. La mancanza di nazionalismo può invece condurre a una situazione simile a quella che vediamo oggi in Siria. La Siria è un artificio, un’invenzione dell’imperialismo europeo. Allo scoppio della guerra civile nel 2011 sono emerse dozzine di gruppi ribelli che ancora oggi si combattono tra loro, nonostante siano tutti ugualmente contrari al regime di Bashar al Assad. Gli orrori consumati ad Aleppo ci ricordano che la promessa della comunità internazionale che certe cose non accadranno “mai più” non è mai stata mantenuta. Il principio di autodeterminazione dei popoli non è soltanto un diritto stabilito nella Carta delle Nazioni Unite, ma è anche, nel bene e nel male, il modo migliore che le comunità politiche hanno trovato per assicurare la loro sopravvivenza nel mondo moderno. Molti in Occidente sono preoccupati per il crescere del nazionalismo, ma i ribelli siriani ad Aleppo si prenderebbero volentieri un po’ di quel nazionalismo, se potessero.

Il nazionalismo è un’ideologia; raramente le ideologie guidano la geopolitica, avviene sempre il contrario. Il fatto che in questi anni il nazionalismo stia crescendo è segno che sono in atto spostamenti tettonici a livello politico, sociale ed economico, per cui gli individui e le nazioni non sanno più definire con chiarezza il loro ruolo nel mondo. Queste difficoltà possono condurre all’autoritarismo in alcuni paesi e al fondamentalismo in altri, ma si tratta di fenomeni distinti. Il nazionalismo non cresce sugli alberi ma sull’instabilità, e non è il sinonimo di molti altri “ismi” che spesso si mettono indistintamente nel calderone delle ideologie mortifere. Il mondo è fatto di stati-nazione. Togliete le nazioni e vi ritroverete con un castello di carte.

 

È innegabile che il nazionalismo stia riemergendo, ma il rafforzarsi dei sentimenti nazionali è il sintomo di una situazione di crescente instabilità, non ne è la causa. Il nazionalismo è un’ideologia; raramente le ideologie guidano la geopolitica, avviene sempre il contrario. Il fatto che in questi anni il nazionalismo stia crescendo è segno che sono in atto spostamenti tettonici a livello politico, sociale ed economico, per cui gli individui e le nazioni non sanno più definire con chiarezza il loro ruolo nel mondo.

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