L’insostenibilità dello stato sociale
in Europa

04/10/2013

A inizio settembre la televisione olandese ha trasmesso il discorso pronunciato dal Re Guglielmo Alessandro dei Paesi Bassi di fronte al parlamento, durante il quale il sovrano ha affermato che lo stato sociale del XX secolo non esiste più e che dovrebbe essere sostituito da una società nella quale i cittadini creano le proprie reti di sicurezza sociale e finanziaria ricevendo meno aiuto da parte dello stato. Il sovrano ha affermato chiaramente che i livelli attuali dei costi sostenuti dallo stato per sussidi di disoccupazione e per la sanità non sono più sostenibili, per l’attuale crisi economica europea.

Il discorso del re è altamente significativo per diversi motivi. Nello stato sociale, o welfare state, lo stato si propone di assicurare il benessere dei cittadini in tutte le fasi della loro vita. Si tratta di una creazione europea: le prime forme di stato sociale furono istituite alla fine dell’Ottocento, nella Germania di Bismark, e presero piede nel Regno Unito, nell’Europa del Nord e in altri paesi europei negli anni Trenta, in risposta alla Grande Depressione. Dopo la Seconda Guerra Mondiale lo stato sociale è diventato l’elemento centrale delle politiche fiscali ed economiche in tutta l’Europa Occidentale, con applicazioni diverse da paese a paese, e costituisce uno dei fondamenti dell’Europa moderna. 

Nel corso degli anni sono state apportate limitate riforme, ma l’élite europea – sia di centro-destra che di centro-sinistra – ha sempre rifiutato di mettere in discussione il welfare state, in quanto parte del contratto sociale che vige tra i governanti e i governati. Ora la crisi europea mette in dubbio la sopravvivenza a lungo termine del welfare state, perché le difficoltà economiche pongono seri interrogativi circa la sua sostenibilità, e mettono persino in discussione la definizione di stato-nazione. 

Nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale gli Europei hanno costruito imponenti stati nazionali, insostenibili dal punto di vista finanziario. Prima dello scoppio della crisi finanziaria del 2007 la maggior parte dei governi dell’Europa Occidentale copriva il deficit pubblico emettendo obbligazioni. Ciò ha permesso agli stati di posticipare lungamente riforme strutturali che sarebbero state impopolari e avrebbero scontentato l’elettorato. Il passaggio all’euro all’inizio degli anni Duemila ha complicato ulteriormente la questione, in quanto gli stati non sono più in grado di usare politiche monetarie per compensare la perdita di competitività.

Ora molti paesi europei devono affrontare le conseguenze della propria incapacità di riformare il sistema. Per decenni gli Europei hanno goduto dello stato sociale senza curarsi dei costi, ma ora non è più possibile. La popolazione europea si sta riducendo e sta invecchiando, diminuisce di conseguenza la forza lavoro e il gettito fiscale.

In questo contesto, i governi europei devono decidere se aprire subito un ampio dibattito sul futuro dell’Europa e sulle difficili riforme da varare, o se continuare a posticipare queste discussioni nella speranza che l’Europa riesca a uscire dalla crisi senza importanti cambiamenti strutturali. Alcuni stati preferiscono evitare queste discussioni e continuare a fare promesse contraddittorie. Così cercano di convincere l’elettorato che l’Europa può tornare ai livelli pre-crisi anche senza applicare riforme radicali.

Ma gli Olandesi, popolo di navigatori e mercanti, legati ai mercati tedeschi via terra e a quelli inglesi via mare, hanno capito che questa soluzione non è possibile. La loro storia insegna che lo stato deve essere rapido nell’agire, pur con grande cautela. L’immobilità è spesso la scelta peggiore. Non deve quindi sorprendere che i Paesi Bassi siano stati i primi a riconoscere pubblicamente la nuova realtà europea. La crisi economica sta intaccando anche il nord Europa; gli Olandesi devono valutare lo stato della loro economia e la loro posizione in Europa e si preparano ai cambiamenti politici ed economici del continente. La disoccupazione nei Paesi Bassi è ancora al di sotto della media dell’eurozona, ma è cresciuta negli ultimi due anni, dopo che il paese è entrato in recessione.

Il discorso del Re Guglielmo Alessandro non innescherà da solo il processo di riforma, ma è un importante segnale di avvio di una discussione pubblica sulla nuova realtà nell’ambito dei Paesi Bassi. Il governo olandese sa che le riforme genereranno un profondo malcontento nella popolazione se non saranno accompagnate da un’ampia riflessione sul futuro della nazione. In ogni caso si apre un periodo di tensioni sociali. Il governo dell’Aia è già impopolare e messo alle strette per alleviare la pressione fiscale, quindi ulteriori riforme inaspriranno ancora la situazione. 

Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il contratto sociale in Europa si sta spezzando. Se le élites del continente non affronteranno il problema, e se non riusciranno a riconciliare i loro interessi con le aspettative dell’elettorato, i fondamenti politici dell’UE continueranno a sgretolarsi.

Lascia un commento

Vuoi partecipare attivamente alla crescita del sito commentando gli articoli e interagendo con gli utenti e con gli autori?
Non devi fare altro che accedere e lasciare il tuo segno.
Ti aspettiamo!

Accedi

Non sei ancora registrato?

Registrati

I vostri commenti

Per questo articolo non sono presenti commenti.