La questione tedesca
e il destino dell'UE

10/11/2014

Liberamente tratto da un articolo di Strategic Forecasting

A 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino in Europa si riaffaccia la “questione tedesca”, al centro della storia europea dal 1871. Fino a quel momento la regione dell’attuale Germania era costellata di stati e staterelli, unificati poi sotto la guida degli Hohenzollern. 

La Germania, al centro della grande Pianura Europea, ha un territorio ricco, solcato da grandi fiumi che hanno sempre favorito i commerci e la crescita economica, ma è priva di confini naturali ed è vulnerabile a eventuali attacchi via terra da est e da ovest (vedi mappa a destra). È un gigante nel cuore d’Europa, ma è facilmente attaccabile su due fronti.

Dopo l’unificazione del 1871 infatti ci furono lunghe e sanguinose guerre fra la Germania e i suoi vicini, in primis la Francia. Dopo la Seconda Guerra Mondiale il paese fu occupato e diviso in due (vedi mappa a sinistra), diventando così inoffensivo. La questione tedesca venne così “congelata” per tutto il periodo della Guerra Fredda, cioè fino al 1989.

Nel 1989 molti paesi europei accolsero positivamente l’idea della riunificazione tedesca, imboccando la strada della pace e dell’integrazione che avrebbe portato alla nascita dell’Unione Europea. Ma non tutti erano d’accordo. Francia e Regno Unito non erano pienamente favorevoli all’unificazione, perché temevano che la Germania unita potesse diventare nuovamente un pericolo per la stabilità europea. Parigi allora chiese e ottenne l’introduzione di una moneta unica per legare il destino economico di Francia e Germania e contenere l’espansionismo tedesco all’interno delle istituzioni europee.

Ma a 25 anni di distanza le aspettative paiono deluse: la distanza fra la Germania e i vicini, soprattutto la Francia, si è accentuata con la crisi, e la lunga stagnazione economica mette Parigi in una posizione subalterna.

La Germania è l’unica vera grande potenza in Europa, ma preferisce non assumersi la responsabilità di guidare il continente verso l’integrazione, forse perché la memoria del nazismo è ancora troppo fresca in tutta Europa, e i Tedeschi preferiscono badare al proprio benessere anziché affrontare un difficile processo politico, che li porterebbe anche a dover sostenere le regioni europee meno ricche.

Berlino si trova in una condizione paradossale: da un lato vorrebbe mantenere la moneta unica, che le ha garantito prosperità economica negli ultimi decenni, grazie alla crescita dell’export verso i paesi dell’eurozona, che assorbono circa il 50% delle esportazioni tedesche. Perciò pur continuando a criticare i paesi europei troppo indebitati e poco ‘virtuosi’, non ha negato l’assistenza economica di cui avevano bisogno. D’altro lato non ha intenzione di continuare a pagare il conto degli stati indebitati, perciò cerca di spingerli sulla strada delle riforme strutturali, che però nel breve periodo causano recessione e disoccupazione, e mettono in cattiva luce la politica tedesca.

Ora alcuni paesi europei in crisi iniziano a ignorare deliberatamente le regole fiscali dettate dai tedeschi, mentre in Germania gli euroscettici, preoccupati di doversi sobbarcare i debiti dei paesi meno virtuosi, continuano ad aumentare.

Se la convivenza con il gigante tedesco si farà più difficile, i paesi europei potrebbero rinunciare al processo di integrazione politica per tornare alla situazione precedente, rinunciando a cedere sovranità nazionale. In questo caso il sogno degli Stati Uniti d’Europa verrebbe infranto, o bloccato per chissà quanto tempo.

 

 

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