Il disfacimento dell’Unione Europea

05/10/2016

L’opinione pubblica sta accettando quello che fino a un paio di anni fa sembrava impensabile: l’Unione Europea può disfarsi, ha iniziato a disfarsi; soltanto lo stato nazionale rimane solido in Europa. Persino gli stati bi-nazionali corrono il rischio di dividersi: già la Slovacchia si è divisa dalla Cechia, la Serbia dalla Bosnia e dal Kosovo, la Croazia dalla Slovenia; ora la Catalogna vuole lasciare la Spagna, persino gli Scozzesi, uniti all’Inghilterra sin dal 1603, non sono così convinti di voler continuare a far parte del Regno Unito. Altro che integrazione sovranazionale! I popoli sembrano volere entità statali sempre più etnicamente coese, sempre più omogenee, proprio mentre è in atto la piena globalizzazione delle comunicazioni, dei trasporti, della produzione, della finanza, della scienza e della tecnologia. 

Dobbiamo cercare di capire che cosa potrà e dovrà rimanere dell’Unione Europea, quale tipo e quale livello di integrazione rispondono a concrete necessità geopolitiche e quali non potranno durare. L’opinione pubblica ha attitudini molto diverse verso l’Unione Europea nei diversi paesi che ne fanno parte: secondo un’indagine recente del Pew Research Center, l’Unione è vista in modo positivo dall’82% dei Lussemburghesi e dal 72% dei Polacchi, ma soltanto dal 54% degli Italiani e dal 32% dei Francesi. Fra i partiti politici euroscettici, il Fronte Nazionale in Francia vuole l’uscita dall’Unione, il M5S in Italia vuole uscire dall’Eurozona ma non dall’Unione. In Grecia, nonostante l’ira e il rancore verso le istituzioni europee che hanno costretto la popolazione a un’estrema austerità economica e che offrono ben poco aiuto sulla questione dei migranti, il governo ha fatto di tutto pur di non lasciare l’euro. Il possibile disfacimento dell’eurozona, che nessuno capisce che conseguenze potrebbe avere, fa paura a politici e tecnici, anche in Germania e in Francia.

I negoziati con l’Inghilterra sulla Brexit chiariranno se gli stati che usciranno dall’Unione potranno mantenere l’associazione al libero mercato anche senza accettare la libera circolazione delle persone, cioè dei migranti. Su questo aspetto le opinioni divergono, e non è chiaro quale prevarrà.

Gli stati dell’Est Europa che si oppongono in modo netto alla perdita di sovranità nazionale, come Polonia, Ungheria, Romania e Bulgaria, continuano a vedere nell’Unione un aiuto possente per lo sviluppo delle loro economie e una fonte di protezione da possibili aggressioni russe.

Grecia, Portogallo e Spagna, alla periferia d’Europa, vedono nell’Unione e nell’Eurozona l’indispensabile strumento di integrazione delle loro economie con quelle degli altri paesi del Continente. Catalani e Baschi sarebbero pronti a lasciare la Spagna, ma non l’Unione Europea, né l’Eurozona.

Austria, Finlandia e Olanda temono che più integrazione significhi farsi carico dei debiti delle economie mediterranee, perciò si oppongono a qualunque concessione su questo fronte, ma sanno che le loro economie dipendono dai commerci e che questi commerci hanno bisogno del mercato unico e della moneta unica. Ma Finlandia e Olanda, Danimarca e Svezia potrebbero facilmente decidere di costituire un’unione con i paesi del Baltico, la Germania e la Polonia, lasciando perdere gli altri paesi.

La base dell’Unione Europea rimangono Francia, Germania e Italia: quello che avverrà in questi tre paesi determinerà davvero il futuro dell’Unione. Se uno di questi tre paesi dovesse uscire dall’Unione o dall’Eurozona, finirebbe l’Unione. Ma le forze strategiche che spingono questi tre paesi a rimanere insieme come garanti della pace e della sicurezza del Continente sono contrastate da interessi divergenti per quanto riguarda la politica monetaria e fiscale. Il rigore tedesco è ricetta che danneggia l’economia di Francia e Italia e ne ostacola la ripresa, ma la Germania non può accettare di pagare il prezzo del lassismo degli altri paesi, cioè non accetta di pagare una parte del loro debito. È probabile che su questo aspetto i tre paesi rimangano intralciati e immobili per mesi, forse per anni, finché la situazione peggiorerà al punto da rendere indispensabile una soluzione immediata. Allora o cederà la Germania, o l’Unione perderà uno dei suoi membri fondatori e finirà di esistere, dando eventualmente origine alla formazione di due o tre blocchi diversi di paesi europei, legati da accordi diversi. 

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